Titolo del corso:
Comunicazione del rischio:
cross-medialità e spazio accademico
Il corso si focalizza sulle strategie di narrazione mediale della realtà quotidiana e di alcuni fenomeni criminali, con particolare riguardo all’informazione mainstream. Il corso propone una sezione teorica incentrata sulla logica dei media di Altheide e Snow e sulla sociologia del rischio di Beck, entrambe funzionali allo studio della rappresentazione del crimine come info-tainment, soprattutto al tempo della cross-medialità (Mazzoli).
Tale analisi si rivolge anche a spazi di condivisione ritenuti di norma sicuri. E’ il caso degli spazi educativi, erroneamente considerati al riparo da condotte criminali. Di qui la possibilità di approfondire il concetto di spazio accademico come spazio del rischio, legato soprattutto alla mobilità internazionale e alle incognite che lo svolgimento di attività di ricerca all’estero può comportare.
La connotazione mediale del crimine ha subito negli anni mutamenti significativi, legati all’evoluzione del giornalismo e all’avvento della rete. Si tratta di un aspetto messo in evidenza da Altheide e Snow in Media logic (1979), che introdussero uno dei più fortunati concetti del campo degli studi sui mezzi di comunicazione. Dalla tecnologia all’intrattenimento, passando per l’attualità e l’informazione, la logica e il potere dei media si trasformano in cultura della società, plasmata dal racconto (anche criminale) del rischio che scandisce la realtà quotidiana. Si tratta di un aspetto evidenziato da Beck nel volume postumo La metamorfosi del mondo: a proposito dei rischi digitali e del fallimento delle istituzioni, egli evidenzia gli effetti della globalizzazione sul piano della costruzione di universi simbolici frammentari e labili, inficiati dalla narrazione permanente della violenza. Di qui l’introduzione dei concetti di “nuovi paesaggi della comunicazione”, “mali pubblici” e “costruzione digitale del mondo”, che si nutrono anche della metafora di immagini come “proiettili” e telecamere come “armi”. L’assunzione della violenza come medium simbolico dell’insicurezza diviene tanto più efficace quanto più il consumo di informazione può fornire una labile ma istintiva illusione di condivisione collettiva. Da questo punto di vista, la metamorfosi del mondo digitale si nutre della dialettica tra media mainstream e social media, che forniscono rappresentazioni spesso complementari del crimine e delle sue implicazioni emotive. Se ne ha conferma dall’analisi dei principali talk show nazionali, che nell’utilizzare sempre più i social network mettono in campo strategie di informazione spesso finalizzate ad indagare le cause degli eventi criminali. Sullo sfondo si stagliano le nuove realtà di informazione sospese tra media mainstream e nuovi media, sempre più artefici della costruzione narrativa della realtà quotidiana. Si pensi all’impatto che le morti di Giulio Regeni e Valeria Solesin hanno avuto sui media, e le implicazioni non solo informative, ma anche emotive e politiche che i loro assassinii hanno avuto sull’opinione pubblica, in ragione del fatto che attività (o strutture) un tempo ritenute sicure, rischiano di esserlo sempre meno. Lo svolgimento di attività di ricerca e di dottorati all’estero suggerisce una riflessione sociologica e giornalistica sulla effettiva percezione dei rischi legati alla frequentazione di spazi un tempo ritenuti al riparo da rischi, come chiese, scuole e università. In particolare, lo spazio accademico come luogo dell’insicurezza offre interessanti spunti di riflessione sul frame mediale della paura, sulla globalizzazione delle conoscenze e sulla mobilità internazionale, al tempo del terrorismo e del cosmopolitismo 2.0.
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